Con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della legge 159/2020 di conversione del Dl 125/2020 entrano in vigore le nuove disposizioni che, nell’intento di agevolare le procedure di composizione della crisi, introducono nella legge fallimentare le innovazioni del Codice della crisi in materia di transazione fiscale e contributiva. Le nuove norme comporteranno conseguenze rilevanti per diverse categorie di soggetti: i professionisti della crisi di impresa, gli Enti pubblici interessati, gli attestatori e i tribunali. Presentare piani concordatari sarà dunque più agevole per gli advisors, in quanto l’esito del voto non sarà compromesso dall’eventuale inerzia dell’amministrazione finanziaria o degli enti gestori delle forme di previdenza o assistenza obbligatoria, potendosi quindi configurare una sorta di “voto tacito coartato”, in presenza dei presupposti di legge di cui all’ultimo periodo dell’articolo 180 come aggiunto dalla legge di conversione. Deve trattarsi di voto determinante per il raggiungimento delle maggioranze e la proposta di soddisfacimento degli enti pubblici deve essere conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria, anche sulla base delle risultanze della relazione dell’attestatore. Anche per gli accordi di ristrutturazione dei debiti sono introdotte identiche previsioni di “adesione coattiva”, con la differenza che il consenso deve essere determinante per il raggiungimento del 60% dei crediti votanti. In questo caso si tratta di conseguenza più rilevante, stante la natura contrattuale degli accordi e la frequente presenza di clausole di efficacia dei medesimi sospensivamente condizionata alla transazione fiscale. Certamente ora l’amministrazione finanziaria e l’Inps si troveranno nella necessità di rivedere le istruzioni emanate alle rispettive strutture centrali e periferiche, potendosi anche configurare un ruolo degli enti più passivo, essendo possibile che le procedure proseguano ugualmente. D’altro canto, si potrà prefigurare per gli enti medesimi la possibilità di entrare nel merito della convenienza in sede successiva all’eventuale giudizio per omologazione, opponendosi a esso (la legittimazione pare indubbia) laddove ritengano che la convenienza rispetto all’alternativa liquidatoria non sia stata adeguatamente valutata dall’attestatore o dal tribunale. L’attestatore ora, in presenza di crediti tributari o contributivi, sarà chiamato a pronunciarsi espressamente – e dunque un apposito paragrafo deve essere presente nella relazione – circa la convenienza del trattamento proposto rispetto alla liquidazione giudiziale; chiarito che non serva il confronto con scenari alternativi differenti, sarà necessario concentrarsi sulle perdite del creditore pubblico nell’ipotesi fallimentare, con responsabilità tuttavia maggiori che in passato, essendo ora impossibile per l’ente sottrarsi alla sua valutazione. La norma, con l’aggiunta della parola «anche» rimette al tribunale la valutazione finale della convenienza per gli Enti del trattamento proposto nella transazione fiscale e contributiva rispetto al fallimento. Il Tribunale viene in particolare chiamato a un esame autonomo, che richiederà – specialmente nel caso degli accordi di ristrutturazione del debito nei quali (ad oggi) manca la figura del commissario giudiziale – particolare cautela nella disamina della questione, trattandosi di valutazione in relazione alla quale, anche al fine di ridurre le proprie responsabilità e integrare le competenze necessarie, potrà farsi ricorso alla nomina di ausiliari. Il ruolo centrale del tribunale viene riconosciuto anche dall’articolo 182-ter novellato, il quale prevede ora che la convenienza della transazione fiscale costituisca oggetto di specifica valutazione da parte del tribunale. Conseguentemente, nei decreti di omologazione apposito spazio dovrà essere riservato alla descrizione da parte del tribunale degli elementi di giudizio che esso ha utilizzato per omologare il concordato o gli accordi anche in assenza dell’espressa adesione degli enti pubblici alla transazione fiscale e del relativo voto.
Transazione fiscale e contributiva, più responsabilità per l’attestatore
Il Sole 24 Ore